di Marco dp
“Condannati a morte dal vostro quieto vivere, distruggeremo la tranquillità delle vostre domeniche…”
Un piccolo salto indietro nel tempo, un piacevole – e non nostalgico – ripercorso di quell’entusiasmante e galvanizzante movimento che ha caratterizzato quel piccolo pezzetto di città chiamato Ostia, sin dalla fine degli anni ottanta, attraverso il cambiamento generazionale in un angolo di Roma segnato indiscutibilmente dagli anni di piombo -eroina (“Amore tossico”), violenza politica, criminalità…-
Nel 1989, durante il movimento studentesco della “Pantera” e sulla scia delle prime occupazioni a scopo socio-abitativo in Italia (Barocchio a Torino, Leoncavallo a Milano, Forte Prenestino a Roma) un centinaio di studenti e studentesse delle scuole e delle università occuparono l’ex mercato generale di Via Calenzana, abbandonato al degrado da decenni. Questo spazio, battezzato “Spazio Kamino”, è stato per oltre un decennio un punto di riferimento fondamentale per l’aggregazione del territorio e della città, comprovando un passaggio evolutivo per i movimenti giovanili che attraversavano da tempo un periodo di costante dinamismo, oscillando tra il modello politico-ideologico del militante settantasettino (molti gli spazi in cui giravano ancora santini di Lenin e Marx, kefyah, giacche Eskimo) e la voglia di applicare e sperimentare nuove pratiche di conflitto e riappropriazione nella “nuova società” degli anni novanta.
Spzk è stato sicuramente uno dei modelli di riferimento per la realtà dell’autogestione intesa come azione diretta, in costante e perpetua ricerca e ideazione di nuovi percorsi di lotta, riappropriazione e condivisione attitudinale.
Sviluppo del pensiero critico, pratica di laboratori di crescita individuale e collettiva, progetti e idee “rivoluzionarie” battevano nel cuore di quella generazione: Idee che possano rispondere realmente a evidenti situazioni di degrado e disagio vissute quotidianamente sulla pelle di chi ha vissuto la periferia in quegli anni, come ad esempio la totale mancanza di spazi, l’impossibilità di avere una casa, la brutale violenza del proibizionismo, la criminalizzazione delle lotte e la continua repressione, la prepotenza dell’autoritarismo, la disastrosa introduzione della televisione mangia-cervelli e così via…
Ciò di cui vorrei trattare è una – tra le altre – sperimentazione di una nuova protesta, innovativa e elettrizzante, che rendeva la musica protagonista del fermento (e del “fomento”) che pulsava nelle arterie del quartiere: il Rave .
In una società che attraverso la repressione diffondeva silenziosamente un controllo sociale sempre più rigido e impertinente contribuendo alla riduzione del territorio in un quartiere-dormitorio, l’obiettivo del Rave era chiaro a tutti: infrangere senza tante cerimonie l’immagine di una città morta, addormentata, sedata da quello stato attuale; scavalcare i malinconici confini tra legalità e illegalità tracciati con arroganza dal moralismo incravattato, rompere quella apparente quiete in cui si era (e in cui, ahimè, siamo) costretti a vivere. Abbattere il muro di cinta, infrangere e calpestare la vetrina della “normalità”, evadere dal controllo attraverso il baccano, il casino, il chiasso…BBBBEEEEEEEEEEEEE!!
Con i Rave si manifestava molto chiaramente l’alternativa alle logiche del sistema governativo basato sulla circolazione del denaro in ogni campo, materia, argomento, situazione (pensiamo alle discoteche, al pubblico pagante, alla vendita e svendita di cd, film, materiale artistico in generale…all’assurdità della situazione), dimostrando limpidamente e sobriamente che la soluzione era nelle mani di chi non ci sta a vedere i propri sentimenti e le proprie passioni ridotte a merce.
Le chiavi fondamentali per l’apertura di nuovi circuiti di distribuzione, e diffusione dell’autogestione, quindi,
appartenevano al fenomeno del Rave Party, nel quale Ostia ha giocato un ruolo fondamentale nel corso degli anni novanta fino a metà del primo decennio del duemila.
Allora anche all’interno di Spazio Kamino si svolgevano raduni di centinaia –se non migliaia- di giovani provenienti
da CSOA di tutta Italia, caratterizzati da musica techno (oggi possiamo azzardare Old School), che avevano l’insolito potere e l’entusiasmante capacità di donare un senso alle grigie giornate d’inverno, e porgere su un piatto d’argento l’alternativa al “tunz tunz” delle discoteche del litorale d’estate.
Ovviamente i Rave pesavano per tutti, e se da una parte c’era l’entusiasmo, l’eccitazione, i desideri
e i sorrisi d’una generazione in rivolta, sull’altro piatto della bilancia pesava la preoccupazione e il disturbo di politici, imprenditori, perbenisti, bigotti, fascisti.
La pluralità degli spazi all’interno del Rave rendevano l’esperienza sempre unica e irripetibile: il divertimento non era tutto, ma anche confronto e sviluppo culturale presidiavano l’anima della festa. Workshop, laboratori, mostre, spazio concerti, masterizzazione e distribuzione, infatti, sono sempre stati presenti, offrendo la possibilità di esprimersi liberamente, senza prigionie morali, a tutti e tutte. In una situazione così, rispetto, consapevolezza e responsabilità erano valori infrangibili, e sempre protagonisti della buona riuscita della festa, che possiamo permetterci di chiamare “protesta”.
A Ostia, questa evasione clandestina dalla realtà schiacciante e repressiva attraverso il Rave era frequentissima e – azzarderei dire – indispensabile, anche per la presenza quantitativa e qualitativa di artisti e musicisti, oggi nomi ben noti nel mondo della musica elettronica e non.
La voglia di far rimbombare lo spirito delle proteste nella città, il desiderio di diffondere le pratiche di autogestione, la consapevolezza e la determinazione di voler ribaltare la realtà, portò anche all’organizzazione di Street Parade: parate piratesche in cui enormi carri allestiti di colore e suoni percorrevano in lungo e largo il quartiere. Accenno, ad esempio, al famoso “Street Tour of Ostia” del 1999.
Insomma, Ostia è sempre stata una scheggia ben incarnata nelle avare mani della cricca politichese, che avrebbe voluto ridurre il territorio in un’affascinante quartiere-vetrina pronto a sconvolgere i ben pensanti con qualche arresto invernale ed a spennare turisti nelle stagioni calde.
Purtroppo, “come tutte le più belle cose”, questo genere di Rave non hanno goduto di lunga vita, forse per l’introduzione di nuove droghe (?), forse per il cambiamento radicale della musica techno (causa la nascita di innumerevoli sottogeneri) fatto sta che con l’andar del tempo l’idea del Rave è andata sgretolandosi insieme alle proprie pratiche: Rave inteso come azione diretta; Rave intesto come pratica di opposizione sociale e liberazione di idee, desideri, sentimenti prigionieri della paura e della paranoia, infame figlia del controllo; Rave inteso come stato d’animo, amore, piacere (di suonare, di esporre, di conoscere, di stare insieme).
Nonostante tutto, la fine è stata scritta un po’ più avanti.
La lotta per il sabotaggio del sistema sociale è proseguita senza sosta, la costante sperimentazione di costruire e introdurre un nuovo modo di comunicare, alternativo ai mostri della televisione, l’incessabile sfida contro la quotidianità precaria dei giovani, hanno dato vita a moltissimi progetti (alcuni ancora attivi) con il compito di introdurre contenuti politici e pratiche conflittuali in ogni iniziativa attraverso, ad esempio, la diffusione di materiale autoprodotto. A questo punto il pensiero non può che ripercorrere i fantastici circuiti anti-commerciali di Audio Resistance (www.autistici.org/audioresistance).
Forse è proprio per questa incredibile corsa verso l’esaudimento del “desiderio criminale” che nel 2001 Spzk fu sgomberato – da una giunta di sinistra – con un’impensabile spiegamento delle forze dell’ordine, sparpagliate per tutto il quartiere (davanti i licei, alle case gialle occupate, al Vittorio Occupato, a spazi di cultura alternativa ecc); lo sgombero portò all’organizzazione di moltissime azioni di rivendicazione di Via Calenzana (tra cui un corteo di oltre seicento tra compagni e compagne che percorsero Ostia da cima a fondo), e più in generale dell’autogestione degli spazi, con l’ambizione di non arrestare nessuno dei percorsi caratteristici di Spazio Kamino, tra cui i Rave.
Così fu, fino al 2006, anni in cui si consumò l’ultimo grande Rave Illegale immancabilmente firmato Ostia.
E quindi? Alimentando un po’ il motore dell’immaginazione possiamo facilmente allacciare la nostra sensibilità a cosa hanno rappresentato i Rave per un’intera generazione, e l’importanza che gli era stata attribuita.
-…fermai lo sguardo su un momento di silenzio e pensai:
“nessuna tregua al tempo che avanza, toglieremo il respiro ai re e ai tiranni, con uno sguardo all’immediato, uno all’infinito.
Se guardi bene, in ognuno di noi, c’è la possibilità di cambiamento. In ognuno di noi c’è il rifiuto di questo mondo di plastica, della musica piatta e senza sentimento, l’odio per i potenti e per chi fa l’amore con gli sbirri, il desiderio di libertà. In ognuno di noi c’è una bomba pronta ad esplodere, una bomba di significato per distruggere l’ipocrisia, le gerarchie, il pregiudizio, il commercio…”
puntiamo uno sguardo al cielo per immaginare il futuro, sempre contro chi regola gli appetiti, contro chi frena la volontà, contro chi delimita gli orizzonti, contro chi fa una legge per ogni movimento, contro chi specula e controllo, contro chi sta dietro lo schermo.-
fantastico……..