di Sbrocco
Servirebbe qualcosa d’effetto per iniziare, qualcosa di forte, violento, qualcosa come la lotta di classe, uno scenario post-industriale scontri con la polizia, magari delle molotov o delle bombe charta volanti…. Un po’ come ci ha abituato Napoli all’apertura di ogni nuova discarica… Sì, iniziamo da qui, dalla lotta di classe che si combatte per le strade della periferia napoletana, con le sue palazzine di cemento abusive, le sue strade dissestate e prive di fogne. Partiamo da un plotone di polizia che pesta una folla urlante, cariche e lacrimogeni. Dall’altra parte partono sassi e fuochi d’artificio, è la lotta per la sopravvivenza di una massa disperata contro una minoranza organizzata e predatrice.
Eravamo abituati a pensare la lotta di classe come ad un film di Eisenstein, con gli operai (magari in bianco e nero) che incrociano le braccia lungo una farraginosa catena di montaggio, un’immagine chiara e semplice, mentre la realtà che ci si presenta agli occhi in questi giorni è molto più caotica. Se vi piace immaginare la lotta di classe come un vecchio film la realtà vi restituisce scenari postbellici di una fantascienza catastrofica alla Mad Max; se pensate alla lotta di classe come originata dallo sfruttamento del padronato verso le classi subalterne la realtà è già oltre, verso la lotta per la sopravvivenza contro un potere che ti aggredisce nella tua essenza biologica, ghermendo la terra sulla quale poggi i piedi, l’aria che respiri e l’acqua che bevi… Se in un vecchio film in bianco e nero la fabbrica era l’allegoria della società, con il singolo individuo visto come piccolo ingranaggio di una complessa catena, oggi la figura retorica che abbiamo a disposizione per descrivere l’esistente è la monnezza, con i suoi miasmi ed i suoi rivoli di percolato che scorrono nelle venature dell’asfalto dissestato, e noi in tutto questo… siamo la fanghiglia pestata dagli anfibi dei celerini.
Da quest’introduzione avrete capito che non vi parlerò di scontri epici, dell’estetica del conflitto, di fuoco e rivolte, vi ho fregato con un inizio col botto, ma questa sarà una storia di merda.
Stava lì e mi fissava, era uno sguardo a metà fra la minaccia ed il ‘che cazzo vuoi?’. Ero indeciso se vomitare o no. Decisi di no. Era disgustoso, ma non riuscivo a fare a meno di fissarlo. Era un montarozzo marrone, un cesso ricolmo e traboccante della cacca di decine di migliaia di persone.
Perché? Come? Ma chi cazzo??? Come cazzo poteva tenersi in equilibrio quella fottuta montagnola? Come cazzo aveva fatto l’ultima persona che aveva cacato lì? Si era puntellata ai muri in spaccata? Che cazzo ci facevo là? Perché in uno stadio gremito dall’umanità più varia, gli unici stronzi a presentarsi a pulire i cessi eravamo stati noi?
Lo stadio era polveroso, i giacigli di cartone che ci avevano fatto da materasso per i precedenti quattro giorni puzzavano dell’odore di migliaia di corpi accatastati alla rinfusa. Esseri umani che avevano passato quei giorni a scappare dalla polizia. L’atmosfera era desolante, la disperazione quasi si poteva palpare, circondato da una piccola folla un uomo urlava: – Non lo so che cos’erano, ma so che non erano lacrimogeni normali, una settimana fa sotto le ascelle avevo i peli neri, guardate ora!!- ed alzò il braccio mostrando un ciuffo di peli biondo-rossicci… Ovunque attorno a noi si accatastavano volti sporchi ed incrostati, espressioni di smarrimento e stanchezza. Era finito l’ultimo corteo delle tre giornate, non il peggiore, anche se non ci aspettavamo che avrebbero rincarato la dose dopo la mattanza del giorno prima. Una pia illusione come poi ci saremmo resi conto in serata.
Era stato in questo scenario di sconfitta che da un altoparlante una flebile voce aveva biascicato qualcosa del tipo: – Cerchiamo volontari per pulire i cessi, per favore, è necessario-. Necessario. Come dire di no? Eravamo ragazzini, ma il senso di responsabilità che ci aveva spinti a salire a Genova in quel torrido Luglio ci guidò fino ai cessi. Senso di responsabilità? Che grande cazzata… Verso chi? Perché? Non lo sapevamo, all’epoca aderivamo. C’è Heider dal Papa, la costituzione europea a Nizza, il Global Forum a Napoli e noi schizzavamo come palline da ping pong dall’uno all’altro, senza una vera coscienza critica di quello che stavamo facendo, insomma non ci capivamo un cazzo, ma sapevamo che quel cesso andava pulito.
La stanza dei lavandini non puzzava era solo molto infangata, io, Giuliana, Lorenzo ed Eva ci mettemmo subito al lavoro, ramazza alla mano e detersivo ammoniacato sul pavimento, la rendemmo presentabile in quattro e quattr’otto. Mi sentivo già soddisfatto del lavoro svolto, ma come nel più classico dei film horror sentii un rumore ed andai a vedere… Ciao sono la bionda teenager americana sacrificale standard, mi sono persa nel bosco nel quale delle antiche leggende raccontano si aggiri un demone assiro-babilonese, vedo uno strano luccichio… Che sarà mai? … Ma scappa cretina !!! Poi non ti lamentare se muori sbudellata…
Io non sono morto sbudellato, ma qualcosa dentro di me è sicuramente morto, dal momento in cui sono state chiare ai miei occhi le più profonde ed occulte dinamiche di movimento.
Dietro la porta dei bagni un uomo chino sopra un cesso frugava nello scarico con il braccio immerso fino alla spalla nella montagna di merda generata da migliaia di persone. Non mi potei permettere di restare sgomento a lungo, un frazione di secondo dopo, con uno schiocco come quello di un tappo di spumante, era riuscito a sturare le tubature. -Era un assorbente!- affermò fiero, sollevando uno strano grumo marroncino che teneva stretto in quello che credo fosse la sua mano. Nei suoi occhi riluceva una strana luce di soddisfazione, la soddisfazione di chi ha svolto il proprio ruolo. E la suddivisione dei ruoli nel movimento è netto. C’è chi scendendo per la discesa della stazione di Brignole urla – No vìolenz!- e chi si sente soddisfatto di aver pulito un cesso.
-No vìolenz!- mi era rimbombato nelle orecchie per tutta la mattina del giorno precedente, ma perchè mi ero piazzato vicino a quel rompicoglioni? Manco a dire che mi potevo spostare, la strada era stretta e noi eravamo tantissimi, una moltitudine gioiosa che di lì a poco sarebbe divenuta una poltiglia sanguinolenta. Che cazzo aveva quello da dire no vìolenz se appena usciti dal Carlini ci eravamo goduti la vista dei pennacchi di fumo degli incendi che si innalzavano nel cielo estivo? La carcassa di una macchina dava bella mostra di sé appena imboccata la discesa parallela alla stazione di Brignole. Faceva un caldo bestiale ed io ero scafandrato, felpa, maglietta, fazzoletto, mascherina ed occhialini… Un palombaro. L’aggressione della polizia scattò praticamente inaspettata, nel momento in cui il corteo si infilò nel collo di bottiglia che segue la biforcazione tra la discesa e la viuzza che va ad infilarsi in Piazza Alimonda. Da dentro il mio scafandro tutto prendeva una piega surreale, i lacrimogeni, gli scudi di plexiglass che venivano spazzati via dagli idranti, il casino generale, era tutto ovattato. Erano ovattati i celerini che mi correvano dietro, era ovattata Piazza Alimonda, le macchine incendiate, le urla, i pianti. Il cesso invece non era ovattato. Il tipo si voltò mi porse un guantino di lattice e con un cenno del capo mi indicò il cesso affianco. -Fà lo stesso lì– mi disse.
Ecco spiegato come sono finito il 21 Luglio 2001 a fissare quel mostro ributtante che anche troppo approfonditamente ho descritto poco fa.
Un solo pensiero mi rimbalzava nel cervello: -Chi te se ‘ncula!!- non avevo alcuna intenzione di infilare le mani là dentro, per cui così profondamente motivato feci l’unica cosa razionale in quel momento: raccolsi un tanicone da 2 litri di acido muriatico e ce lo svuotai dentro. Fu in quell’occasione che scoprii che la merda è basica. Ero ben a conoscenza, grazie ai miei rudimenti di chimica del liceo, che acido più base danno una reazione esoterma, per questo motivo non rimasi sorpreso più di tanto quando il cesso esplose. Non fu un’esplosione vera e propria, la merda iniziò a gorgogliare, si formò una bislacca schiumetta sfrigolante e la ceramica della tazza si spaccò ed andò in frantumi. Dopodichè non essendoci più nulla a sostenerlo, l’edificio di merda, tanto meticolosamente costruito in tre giorni di moti intestinali, cedette all’attrazione gravitazionale e si spiaccicò sul pavimento. Inutile a dirsi feci finta di nulla ed uscii fischiettando…
C’è chi dice che il cosiddetto movimento No Global dopo la mattanza di Genova si è sciolto come neve al sole. Per quel che mi riguarda è più adeguato dire che si è spappolato come una montagna di merda. Era un movimento cresciuto dall’accumulo casuale di analisi del mondo ingenue ed eterogenee, senza un’idea chiara del che fare, se non contestare uno strano leviatanico nemico. Non sono state le botte a far morire il movimento, ma la sua incapacità di rilanciare la mobilitazione negli anni successivi. Se non hai chiaro come devi strutturare il tuo intervento non sei in grado di radicarti nei territori ed i social forum peccavano proprio in questo. Il movimento era tenuto assieme dal senso di responsabilità, di persone che aderivano non ben consce di ciò che stavano facendo, è stato per questo che nel momento in cui la ceramica ha ceduto ci siamo schiantati al suolo.
Il capitalismo globale è un fenomeno storico e non si combatte un fenomeno storico urlandogli contro. Bisogna agire capillarmente, strutturare una conflittualità diffusa ben radicata nel territorio, comprendere i bisogni della popolazione che lo abita ed aiutarla ad autorganizzare la propria lotta. Per questo motivo la vera lotta di classe oggi si combatte per le strade della periferia napoletana come in Val di Susa, in un turbinio di movimenti fatti piccoli frammenti che nella loro caoticità riescono comunque a rilanciare continuamente la mobilitazione e la lotta.
Saremo pure fanghiglia, ma ci incrostiamo e diffondiamo, la merda, al massimo, galleggia.
E’ assolutamente geniale… Allibbiti di cotal bellezza!
Non manca niente….